In
un paese africano in guerra, difficile da girare per
un turista indipendente, é una preziosa occasione
avere la possibilità di visitare un piccolo
gioiello architettonico, o meglio ciò che ne
rimane. Suakin, la città fantasma. Costruita su un'isoletta incastonata in una
marsa (insenatura naturale), Suakin
era l'antico porto del Sudan e il
più importante approdo commerciale del Mar
Rosso. Le merci preziose, oro, avorio, spezie
e schiavi, transitavano da qui per essere poi trasportate,
attraverso le vie carovaniere, fino al Nilo e alle
coste del Mediterraneo. I ricchi mercanti costruirono
la città con blocchi di corallo e ancora oggi
si possono ammirare i resti di eleganti palazzi, moschee
e viali, testimonianza maestosa di un antico splendore,
nonostante il sito sia diroccato e abbandonato all'incuria
del tempo.
Quando la barriera corallina, nel suo lento ed inesorabile
processo di crescita, ha invaso l'insenatura riducendo
lo spazio per l'approdo delle grandi navi da cargo,
gli inglesi hanno spostato le attività commerciali
nel nuovo porto del Sudan, Port Sudan,
condannando Suakin ad un fatale declino, fino al completo
abbandono. Lo splendore della Perla del Mar Rosso,
che nel 1540 veniva paragonata a Lisbona, si rintraccia
nelle rovine delle mura, dei magazzini delle spezie
d'Oriente e nell'atmosfera che la circonda.
Suakin si
raggiunge in minibus da Port Sudan. I 60
chilometri in direzione sud attraversano il deserto,
dimora ostile e affascinante di insediamenti beduini,
pascolo arido di cammelli e capre. Il vento solleva
la sabbia fine che investe e appiccica sul sudore
del caldo torrido dell'entroterra sudanese.
All'ingresso di Suakin i custodi, vestiti di bianco
come angeli, siedono di fianco ai cannoni ed elargiscono
sorrisi ai rari turisti. La conversazione, un misto
di arabo e qualche parola di inglese, é più
immaginaria che reale. Ma é già sufficiente
un rispettoso "Salam Alekum" per
salutare e "Shukran" per ringraziare.
La città ha ancora la sua struttura intatta:
viali lunghi e polverosi delimitati dai resti delle
mura di cinta, la facciata della porta della città
sovrastata da un'effigie che indica la Mecca. La baia
che lambisce le rovine é del blu intenso del
Mar Rosso, colonizzata da famiglie di fenicotteri
rosa e dimora dei dugonghi,
che brucano nelle acque salmastre ancora indisturbati.
L'assenza di infrastrutture turistiche e tour organizzati
non consente di periziare queste acque al fine di
ammirare i gentili mammiferi marini nel loro habitat
naturale. Un impedimento che però li salvaguarda
e alimenta la speranza che almeno qui possano sopravvivere
esemplari di una specie a rischio di estinzione in
buona parte del mondo.
La cupola del minareto si staglia silenziosa sulla
Città di Corallo e l'ultima immagine che si
stampa nella memoria del visitatore é un muro
diroccato su cui si appollaiano i rapaci. La fanno
da padroni in una città dove non c'é
anima viva, dove il gioco di arabeschi e torri merlate
rimanda ad un passato splendore e alla vivacità
di un mercato fiorente e movimentato. L'unico commerciante
superstite è un uomo vestito di bianco che
all'uscita offre conchiglie tirate a lucido al prezzo
di 1 dollaro l'una. Un souvenir in sintonia con il
luogo! E pensare che i coralli e le conchiglie non
andrebbero mai collezionati né strappati al
mare, e tanto meno venduti ai turisti, perché
sono patrimonio inestimabile del fragile e prezioso
ecosistema del mare. Per
visitare Suakin è necessario chiedere
il permesso preventivo alle autorità locali.
Il tour costa 25 dollari e bisogna
presentare il passaporto quando si scende al molo
dalla barca.
A ridosso dei mercati delle cittadine che si incontrano
lungo il percorso le guide locali impongono ai visitatori
un deciso "NO FOTO".
Nella cultura islamica, infatti, fotografare qualcuno
equivale a rubargli l'anima. E la sensibilità
altrui va sempre rispettata. |