Ia orana! Buongiorno!
L'accoglienza all'aeroporto internazionale Fa'aa
di Papeete, Tahiti, é sorridente, musicale
e profumata.
Il saluto e il sorriso saranno una costante durante
tutto il soggiorno nella Polinesia francese. Definiscono
immediatamente il carattere degli abitanti di
quest'esteso arcipelago del Pacifico, che più
che un paese, può essere definito un mito.
Un gruppo di musicisti allieta i turisti appena
sbarcati al suono dell'ukulele e di percussioni
su lunghi tamburi tubolari, contribuendo così
ad incrementare
la già frastornata sensazione di annebbiata
confusione mentale dovuta alle venticinque ore
di volo dall'Italia e alle dodici ore di fuso
orario.
Ma é il profumo inebriante che invade le
narici ottuse dal disadattamento che attira l'attenzione
dei sensi. Un fiore. Un fiore bianco, tra i capelli,
intorno al collo, intrecciato in corone floreali.
Un fiore che l'addetto di turno alla dogana offre
al viaggiatore che mostra il passaporto. Ma come?
Nessun timbro? Nessun segno stampato, con la data
di arrivo e il periodo di permanenza concesso?
Non si potrà esibire orgogliosi alcun sigillo
che impreziosisca e dia prestigio ad un passaporto
che si vorrebbe gloriosamente marchiato dalla
testimonianza di aver soggiornato, una volta nella
vita, nella leggendaria Polinesia?
A niente vale la richiesta: non é concesso
apporre alcuna stampigliatura su un passaporto
europeo. Sconcerto! Non siamo appena sbarcati
in Oceania, l'ultimo continente dall'Europa, su
isole che sulla carta geografica e su Google Earth
appaiono puntini sperduti in mezzo alla sconfinata
macchia blu dell'Oceano Pacifico? Niente da fare.
L'addetto al controllo é irremovibile.
In realtà siamo sbarcati in ...Francia!
La Polinesia francese è Territorio d'Oltre
Mare, appartiene alla Repubblica francese e fa
parte dell'Unione Europea. Che shock!
L'annessione politica avvenuta alla fine del XIX
secolo e tradotta nel 1903 in "Etablissements
Français d'Océanie", non rende
giustizia né descrive in alcun modo la
vera genesi del mito Polinesiano. Colonizzazioni
e conversioni religiose non sono riuscite ad intaccare
la cultura tradizionale di popoli migratori, che
raggiunsero queste isole sperdute a bordo di piroghe
a bilanciere, sfidando condizioni estreme dei
mari e dei venti con l'arte della navigazione,
in cui eccellono. La piroga ha ancora oggi un
alto valore simbolico che viene celebrato ogni
anno con la Hawaiki Nui, la tradizionale corsa
delle piroghe, il più grande avvenimento
sportivo della Polinesia francese.
Ma l'antica cultura
indigena Mahoi (in lingua tahitiana
significa Polinesiano) si rintraccia in altre
forme d'arte rappresentate ogni anno nel mese
di luglio nelle festività dell'Heiva.
E' una manifestazione che coinvolge tutto il paese,
con gare di danza e canto in tutte le isole. E'
il recupero dell'autentica anima polinesiana,
bandita dall'arrivo di missionari protestanti
e sacerdoti cattolici che pensarono bene di "moralizzare"
la società, vietando tutte le forme di
espressione della civiltà tradizionale
locale. Furono proibiti i canti e le danze, accusati
di essere "indecenti e impudiche", e
fu imposto un abbigliamento che coprisse le nudità,
causa di licenziose libertà sessuali e
promiscuità. Ma non era stato proprio questo
ad attirare i primi navigatori sbarcati in queste
isole da sogno? Noti a tutti sono la storia de
"Gli ammutinati del Bounty" alla ricerca
dell'albero del pane, i racconti
di Bougainville e Cook, che descrissero le vahine
tahitiane come splendide femmine dagli atteggiamenti
lascivi e inclini alla lussuria. Il mito del buon
selvaggio si arricchiva così di particolari
piccanti che serpeggiavano nella vecchia Europa
del XVIII secolo creando fremiti di eccitazione
goffamente malcelati da ipocrita indignazione.
E pensare che le donne polinesiane, vittime inconsapevoli
di luoghi comuni così retrivi, sono la
parte più attiva della società.
Guidano i truck, autobus e pick
up, gestiscono le pension, si
occupano di amministrazione, sono le mama
che intrecciano cesti e cappelli di pandano
nelle isole Australi e creano oggetti d'artigianato
che fanno la gioia dello shopping compulsivo dei
turisti. E soprattutto, sono vere, naturali, senza
sovrastrutture e ridono! Sarà stato questo
che ha colpito i maschi conquistatori, cha hanno
male interpretato la naturalezza, scambiandola
per disponibilità. Capita spesso.
Anche la pittura del corpo, che si esprime nell'arte
ancestrale del tatuaggio, tipica
soprattutto delle isole Marchesi, fu sottoposta
alla censura dei missionari, perché considerata
una forma di paganesimo. E' invece una delle massime
espressioni culturali di appartenenza ad uno status,
e ha in sé profondi valori simbolici di
riconoscimento sociale. La struttura stessa del
tessuto connettivo su cui si basa una comunità
ha subito un attacco violento, teso ad annullarne
la sopravvivenza. Ma, nonostante la religione
imposta permei la vita dei polinesiani, con l'edificazione
di chiese e la partecipazione sentita della popolazione,
le arti tradizionali sono state riportate alla
luce attraverso la loro riscoperta e la loro pratica
in tutte le manifestazioni della vita quotidiana.
I marae, siti archeologici dei
culti pagani politeisti, sono la testimonianza
delle antiche credenze mahoi. Ed é difficile
trovare cimiteri, perché i polinesiani
seppelliscono i loro cari nei giardini di casa,
in uno scambio con la morte che non appartiene
alla nostra società occidentale. Noi preferiamo
emarginarli dal consorzio umano.
Polinesia tra tradizione ed innovazione. Come
il CEP (Centre d'experimentation du Pacifique),
il periodo degli esperimenti nucleari
dal 1987 al 1995, che riuscì ad "innovare"
soltanto nel senso di sconvolgere le strutture
socio-economiche del paese, con un afflusso abnorme
e improvviso di denaro, catapultando la Polinesia
in una società di consumi senza transizione.
Eppure questo non si percepisce a pieno, perché
si é avvolti dalla gentilezza, dalla generosità
degli abitanti di questo paese. Chiunque incontrino
per strada, lo salutano affabilmente come se lo
conoscessero da sempre, e quando qualcuno parte,
gli regalano sempre una collana di conchiglie,
ornamenti preziosi di ogni fare
(casa tradizionale), di ogni autovettura, di ogni
luogo. La loro fiducia é contagiosa. In
alcune isole i bungalow sono senza chiave, le
perle nere, per cui la Polinesia
é famosa, sono in bella mostra sui cigli
della strada, adagiate in espositori di corallo.
I polinesiani attribuiscono ad ognuno quell'onestà
che noi non conosciamo, sempre pronti, come siamo,
ad accaparrarci qualcosa di nascosto, ad appropriarci
dei beni altrui o di quelli pubblici. Senza pensare
che esiste un altro modo di relazionarsi, fatto
di dolcezza e affabilità, di relax e di
assenza di ansia da accumulo. I polinesiani si
fidano, danno per scontato che nessuno ruberà
niente, né conchiglie né perle.
Non gli verrebbe neanche in mente di impossessarsene.
E non ce n'è neanche bisogno, visto che
sono loro stessi a regalarle!
Ma come si chiama questo fiore bianco che donano
sugli aerei, che la polizia di frontiera dell'aeroporto
internazionale di Papeete consegna allo straniero
appena sbarcato come se fosse un visto d'ingresso?
I fiori. Ovunque si giri in Polinesia, si é
accompagnati dal profumo inebriante dei fiori.
Ibisco, bougainville, frangipane, le donne ne
fanno collane da mettere al collo ai nuovi arrivati,
ne decorano le case, li mettono dietro l'orecchio
per ornarsi. Sembrano tutte uscite dai quadri
di Paul Gauguin e non é
un luogo comune!
Questo fiore bianco, simbolo della Polinesia,
il tiaré, Gardenia
taitensis, aromatizza l'olio
di Monoi, il cosmetico di bellezza delle
vahine polinesiane. Le abbellisce, le profuma,
le impreziosisce. Queste piccole gardenie di Tahiti
sono sempre fresche, non sfioriscono mai ed é
difficile carpirne il segreto. Fuori dell'oblò
dell'aereo della compagnia di bandiera, l'angolo
dell'ala in volo è piegato e vi é
dipinto sopra un candido tiaré, che si
tinge del rosa fuxia del tramonto tra le nuvole.
Aeroporto di Papeete. Il truck della pension é
in attesa degli ospiti. I proprietari li ricevono
con la collana di fiori tra le dita.
I turisti escono con il passaporto ancora in mano.
E sopra una pagina bianca, senza timbri, c'é
un tiaré.
Il tiaré sul passaporto, che nessun timbro
potrà mai eguagliare, in termini di prestigio
e procedura di accoglienza.
Paola
Ottaviano