Materiali dalla Polinesia Francese


::Luglio 2011::

Polinesia francese

Il Tiaré sul passaporto

Ia orana! Buongiorno!
L'accoglienza all'aeroporto internazionale Fa'aa di Papeete, Tahiti, é sorridente, musicale e profumata.
Il saluto e il sorriso saranno una costante durante tutto il soggiorno nella Polinesia francese. Definiscono immediatamente il carattere degli abitanti di quest'esteso arcipelago del Pacifico, che più che un paese, può essere definito un mito.
Un gruppo di musicisti allieta i turisti appena sbarcati al suono dell'ukulele e di percussioni su lunghi tamburi tubolari, contribuendo così ad incrementare la già frastornata sensazione di annebbiata confusione mentale dovuta alle venticinque ore di volo dall'Italia e alle dodici ore di fuso orario.
Ma é il profumo inebriante che invade le narici ottuse dal disadattamento che attira l'attenzione dei sensi. Un fiore. Un fiore bianco, tra i capelli, intorno al collo, intrecciato in corone floreali. Un fiore che l'addetto di turno alla dogana offre al viaggiatore che mostra il passaporto. Ma come? Nessun timbro? Nessun segno stampato, con la data di arrivo e il periodo di permanenza concesso? Non si potrà esibire orgogliosi alcun sigillo che impreziosisca e dia prestigio ad un passaporto che si vorrebbe gloriosamente marchiato dalla testimonianza di aver soggiornato, una volta nella vita, nella leggendaria Polinesia?
A niente vale la richiesta: non é concesso apporre alcuna stampigliatura su un passaporto europeo. Sconcerto! Non siamo appena sbarcati in Oceania, l'ultimo continente dall'Europa, su isole che sulla carta geografica e su Google Earth appaiono puntini sperduti in mezzo alla sconfinata macchia blu dell'Oceano Pacifico? Niente da fare. L'addetto al controllo é irremovibile. In realtà siamo sbarcati in ...Francia! La Polinesia francese è Territorio d'Oltre Mare, appartiene alla Repubblica francese e fa parte dell'Unione Europea. Che shock!
L'annessione politica avvenuta alla fine del XIX secolo e tradotta nel 1903 in "Etablissements Français d'Océanie", non rende giustizia né descrive in alcun modo la vera genesi del mito Polinesiano. Colonizzazioni e conversioni religiose non sono riuscite ad intaccare la cultura tradizionale di popoli migratori, che raggiunsero queste isole sperdute a bordo di piroghe a bilanciere, sfidando condizioni estreme dei mari e dei venti con l'arte della navigazione, in cui eccellono. La piroga ha ancora oggi un alto valore simbolico che viene celebrato ogni anno con la Hawaiki Nui, la tradizionale corsa delle piroghe, il più grande avvenimento sportivo della Polinesia francese.
Ma l'antica cultura indigena Mahoi (in lingua tahitiana significa Polinesiano) si rintraccia in altre forme d'arte rappresentate ogni anno nel mese di luglio nelle festività dell'Heiva. E' una manifestazione che coinvolge tutto il paese, con gare di danza e canto in tutte le isole. E' il recupero dell'autentica anima polinesiana, bandita dall'arrivo di missionari protestanti e sacerdoti cattolici che pensarono bene di "moralizzare" la società, vietando tutte le forme di espressione della civiltà tradizionale locale. Furono proibiti i canti e le danze, accusati di essere "indecenti e impudiche", e fu imposto un abbigliamento che coprisse le nudità, causa di licenziose libertà sessuali e promiscuità. Ma non era stato proprio questo ad attirare i primi navigatori sbarcati in queste isole da sogno? Noti a tutti sono la storia de "Gli ammutinati del Bounty" alla ricerca dell'albero del pane, i racconti di Bougainville e Cook, che descrissero le vahine tahitiane come splendide femmine dagli atteggiamenti lascivi e inclini alla lussuria. Il mito del buon selvaggio si arricchiva così di particolari piccanti che serpeggiavano nella vecchia Europa del XVIII secolo creando fremiti di eccitazione goffamente malcelati da ipocrita indignazione. E pensare che le donne polinesiane, vittime inconsapevoli di luoghi comuni così retrivi, sono la parte più attiva della società. Guidano i truck, autobus e pick up, gestiscono le pension, si occupano di amministrazione, sono le mama che intrecciano cesti e cappelli di pandano nelle isole Australi e creano oggetti d'artigianato che fanno la gioia dello shopping compulsivo dei turisti. E soprattutto, sono vere, naturali, senza sovrastrutture e ridono! Sarà stato questo che ha colpito i maschi conquistatori, cha hanno male interpretato la naturalezza, scambiandola per disponibilità. Capita spesso.
Anche la pittura del corpo, che si esprime nell'arte ancestrale del tatuaggio, tipica soprattutto delle isole Marchesi, fu sottoposta alla censura dei missionari, perché considerata una forma di paganesimo. E' invece una delle massime espressioni culturali di appartenenza ad uno status, e ha in sé profondi valori simbolici di riconoscimento sociale. La struttura stessa del tessuto connettivo su cui si basa una comunità ha subito un attacco violento, teso ad annullarne la sopravvivenza. Ma, nonostante la religione imposta permei la vita dei polinesiani, con l'edificazione di chiese e la partecipazione sentita della popolazione, le arti tradizionali sono state riportate alla luce attraverso la loro riscoperta e la loro pratica in tutte le manifestazioni della vita quotidiana. I marae, siti archeologici dei culti pagani politeisti, sono la testimonianza delle antiche credenze mahoi. Ed é difficile trovare cimiteri, perché i polinesiani seppelliscono i loro cari nei giardini di casa, in uno scambio con la morte che non appartiene alla nostra società occidentale. Noi preferiamo emarginarli dal consorzio umano.
Polinesia tra tradizione ed innovazione. Come il CEP (Centre d'experimentation du Pacifique), il periodo degli esperimenti nucleari dal 1987 al 1995, che riuscì ad "innovare" soltanto nel senso di sconvolgere le strutture socio-economiche del paese, con un afflusso abnorme e improvviso di denaro, catapultando la Polinesia in una società di consumi senza transizione.
Eppure questo non si percepisce a pieno, perché si é avvolti dalla gentilezza, dalla generosità degli abitanti di questo paese. Chiunque incontrino per strada, lo salutano affabilmente come se lo conoscessero da sempre, e quando qualcuno parte, gli regalano sempre una collana di conchiglie, ornamenti preziosi di ogni fare (casa tradizionale), di ogni autovettura, di ogni luogo. La loro fiducia é contagiosa. In alcune isole i bungalow sono senza chiave, le perle nere, per cui la Polinesia é famosa, sono in bella mostra sui cigli della strada, adagiate in espositori di corallo. I polinesiani attribuiscono ad ognuno quell'onestà che noi non conosciamo, sempre pronti, come siamo, ad accaparrarci qualcosa di nascosto, ad appropriarci dei beni altrui o di quelli pubblici. Senza pensare che esiste un altro modo di relazionarsi, fatto di dolcezza e affabilità, di relax e di assenza di ansia da accumulo. I polinesiani si fidano, danno per scontato che nessuno ruberà niente, né conchiglie né perle. Non gli verrebbe neanche in mente di impossessarsene. E non ce n'è neanche bisogno, visto che sono loro stessi a regalarle!
Ma come si chiama questo fiore bianco che donano sugli aerei, che la polizia di frontiera dell'aeroporto internazionale di Papeete consegna allo straniero appena sbarcato come se fosse un visto d'ingresso? I fiori. Ovunque si giri in Polinesia, si é accompagnati dal profumo inebriante dei fiori. Ibisco, bougainville, frangipane, le donne ne fanno collane da mettere al collo ai nuovi arrivati, ne decorano le case, li mettono dietro l'orecchio per ornarsi. Sembrano tutte uscite dai quadri di Paul Gauguin e non é un luogo comune!
Questo fiore bianco, simbolo della Polinesia, il tiaré, Gardenia taitensis, aromatizza l'olio di Monoi, il cosmetico di bellezza delle vahine polinesiane. Le abbellisce, le profuma, le impreziosisce. Queste piccole gardenie di Tahiti sono sempre fresche, non sfioriscono mai ed é difficile carpirne il segreto. Fuori dell'oblò dell'aereo della compagnia di bandiera, l'angolo dell'ala in volo è piegato e vi é dipinto sopra un candido tiaré, che si tinge del rosa fuxia del tramonto tra le nuvole.
Aeroporto di Papeete. Il truck della pension é in attesa degli ospiti. I proprietari li ricevono con la collana di fiori tra le dita.
I turisti escono con il passaporto ancora in mano. E sopra una pagina bianca, senza timbri, c'é un tiaré.
Il tiaré sul passaporto, che nessun timbro potrà mai eguagliare, in termini di prestigio e procedura di accoglienza.

Paola Ottaviano

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