L'amore ai tempi del colera. La letteratura ai tempi della pandemia. Un'associazione di idee evocativa, quasi banale, con la differenza che lì si parla d'amore e qui si parla di viaggio. Ma non è poi la stessa cosa?
Mi trovo costretta a disturbare Márquez, da me indegnamente evocato, per descrivere lo stato d’animo che un viaggiatore ha provato, in questi due anni di reclusione, nel non poter esaudire un desiderio a lungo serbato. È stato come un sonno senza sogni, un sonno vuoto, senza sorprese, senza meraviglia.
Ma l’ostinazione di un amore che non rinuncia e travalica il tempo, che sfida caparbiamente ogni ostacolo, ha trovato il modo di infilarsi qui, dietro l'angolo, in Europa, vicino alle coste africane, qui, dove è altrettanto immaginifico destinarsi ora, ai tempi del Post-pandemia.
Come prima tappa scelgo Tenerife, la più grande delle isole dell'Arcipelago delle Canarie. Per evitare l'artificiosità dei divertifici turistici del sud dell'isola, faccio scalo al nord e trovo un posto poco frequentato, la bellissima Bahía de Radazul. Non è esattamente un'attività ricreativa fare immersioni a Tenerife Nord. Bisogna prepararsi fisicamente per arrivare ai siti subacquei, spesso raggiungibili esclusivamente a piedi, inerpicandosi attraverso scalinate e scarpate ripidissime con la pesante bombola d'acciaio sulla schiena e affrontando l'ingresso in acqua tra le onde che s'infrangono violentemente sugli scogli. Cadi rovinosamente a gambe all'aria, rotoli come un mulinello vorticoso e la tua unica preoccupazione è quella di rialzare la testa per non farti risucchiare dal turbinio della risacca. Ma poi, quando recuperi il controllo e ritrovi l'orientamento, quando riprendi il fiato che ti si è strozzato in gola per la botta di gelo che l'oceano Atlantico ti ha sferzato a tradimento, allora ti godi un mondo sottomarino misterioso e insospettabile, pieno di strane creature, polpi multicolori e seppie psichedeliche, molluschi chiazzati di bianco e nero come la bellissima liebre de mar, Aplysia punctata, che nella immersione regina, la notturna, si materializza davanti ai tuoi occhi viscida e lasciva.
Una capatina al sud dell'isola è d'obbligo. A Palm-Mar Cliff, a Los Cristianos, il fondale sabbioso è sorvolato da mille specie di razze, pastinache, aquile di mare. La raya obispo, la vaccarella pesce vescovo, è la regina indiscussa del luogo. Razza endemica e rara, ti viene incontro flettendo le sue pinne alate che rifulgono dell'azzurro e del verde delle sue striature dorsali e che ti ipnotizzano come bagliori di luce accecante.
Alla fine della settimana si sale sul catamarano in un giro di ricognizione in mezzo all'oceano. Los Gigantes è il porto di partenza per questa porzione di mare che si fregia del privilegio di rappresentare la rotta di diverse specie di cetacei. Una famiglia numerosa di Calderón Tropical, i globicefali, rompe fragorosa la superficie dell'acqua. Un esemplare curioso si stacca dal gruppo, avanza fluido e accorto. Affiancatosi allo scafo, caccia fuori dall’acqua la sua testona lucida e bitorzoluta, ci guarda ed emette uno spruzzo d'aria fragoroso davanti alle nostre facce attonite. Lo fa così, per presentarsi. Poi s'inabissa per evitare la collisione con la chiglia e riappare dall'altra parte, sotto la superficie trasparente. Si allontana placido e indolente, così com'era venuto, tutto tranquillo, nelle sue faccende affaccendato.
E anche solo per questo è valso il viaggio a Tenerife, terra dei Guanches.
Dalla più grande alla più piccola. Dopo breve volo, approdo sull'isola di El Hierro. Raggiungo la mia meta, La Restinga, Reserva de Bíosfera, il punto più a sud dell'Europa. Natura davvero selvaggia, vento impetuoso che ti porta via di peso, mare burrascoso che ti colpisce come una scudisciata. Si lotta sott'acqua, trascinati da una corrente furiosa a El Bajón. Ci si attacca agli spunzoni di roccia vulcanica, ondeggiando incontrollati su un paesaggio lunare. Il Mero Pancho (cernia bruna) si appropinqua quasi a deriderti, ti si piazza davanti senza alcun timore. Sa che sei tu quello in preda al panico, alla mercé delle forze indomite della natura. Poi ci si trasferisce in un sito più placido. Ti rilassi e ti godi gli abitanti endemici di questo lembo di terra sommersa. La carmelita (anguilla leopardo), che striscia sul fondale e ti ipnotizza come un pitone dai colori sgargianti; la langosta canaria (cicala di mare), che avanza lenta, come un dinosauro marino, è primitiva, preistorica, un fossile vivente; il granchio arlecchino, piccolo gioiellino oceanico, che sgambetta mimetizzato tra le rocce, tutto brillante nel suo colore arancio acceso. E infine El Desierto, l'immersione nel nulla. Si sorvolano quantità informi di sabbia, dove si scruta il fondale con gli occhi incollati al bianco accecante della rena, si spera di scovare quelle creature che si nascondono, che si rotolano freneticamente sollevando nugoli di polvere. All'improvviso si staccano dal terreno, due pastinache dalla coda lunga, volano in sincrono, basse, veloci, idrodinamiche. Un flash, un colpo d'occhio strabiliante, un colpo al cuore emozionante.
El Hierro, la prima isola al mondo che si è resa autosufficiente grazie agli investimenti nell'energia rinnovabile.
Come terza tappa, mi dirigo a Gran Canaria, sul Puerto de Las Nieves, a nord ovest dell'isola. Il paesino dalle casette bianche, riverso su una spettacolare spiaggia di ciottoli neri che circonda un mare di cristallo, si chiama Agaete, dove trovo un monolocale in centro. Con una breve corsa in barca, si raggiunge Sardina, il miglior sito di immersioni della zona. Si favoleggia di specie marine uniche, molto rare. È una questione di fortuna, non sempre bendisposta, anzi, a volte davvero indisponente. Tant'è che si burla di te tutte le volte, non facendoti trovare quello che cerchi ma mostrandoti, quasi a farti un dispetto, quello che non avresti mai immaginato. Come ad esempio la tembladera (torpedine marmorata), che stano da sotto la sabbia, inseguo per fotografare, insisto per riprendere e lei, per tutta risposta, mi attacca frontalmente. Schivo per un pelo la scarica elettrica, me la sono proprio andata a cercare. Mi avvicino invece lentamente al ratón aquila (aquila di mare) intenta a cibarsi dopo aver puntato le sue pinne pettorali al fondale. Alla minima vibrazione dell'acqua, si stacca dal terreno e prende il volo, leggiadra e maestosa come un’aquila. Ci trasferiamo al sud, a Telde. Intraprendiamo un percorso a ostacoli inerpicandoci su per una scalinata ripidissima con tutta l'attrezzatura addosso. L'ingresso in acqua a la Playa de Tufia è rocambolesco, sbattuti violentemente sulla battigia dalle onde impetuose e gelide. Ma alla fine, una volta sopravvissuti malamente alla furia degli elementi, scopriamo un mondo sommerso pieno di creature affascinanti, le seppie cangianti, i cavallucci marini in miniatura, la preistorica cicala di mare e i polpi che ti osservano guardinghi dalle loro tane. Quando nell'ultima immersione dalla barca, stremati dalla forza distruttrice delle onde, dal vento che ti sballotta e ti schiaffeggia senza pietà, quando riesci a tenerti stretta alla corda dell'ancora senza affogare e finalmente riesci a scendere, un chucho (trigone) spiega le sue ali, ti viene incontro dritto in faccia. Tu scatti d’impulso e ti ritrovi una delle più belle foto di tutto il viaggio.
Nel tardo pomeriggio si imbastisce la tavola per il pranzo. Una paella fumante illumina di gioia le facce dei convitati, lì al centro immersioni, dove lo spirito di inclusione e di condivisione collettiva, tipico della cultura ispanica, ti riporta a quell’amore fatto di speranza, di attesa e di ritorno che Márquez così magistralmente ci narra e che riecheggia nei nostri cuori nel viaggio ai tempi del post-pandemia.
Paola Ottaviano |