Bab
el Mandeb,
la porta delle lacrime. Così, in lingua araba, si indica lo stretto
attraverso cui il Mar Rosso e l'Oceano Indiano confondono le loro acque nel
Golfo di Aden, pericolosa rotta di pirati. La leggenda racconta delle lacrime
versate per la separazione del continente africano da quello asiatico. La
costa di Djibouti, in terra d'Africa, dista da quella dello Yemen, nella penisola
Arabica, solo trenta chilometri, di navigazione spesso difficile. E' il prolungamento
della Rift Valley, la formazione geologica che si é
creata dalla spaccatura delle placche tettoniche, iniziata con la deriva dei
continenti milioni di anni fa e tuttora in atto. Qui la faglia della crosta
terrestre percorre tutto il fondale del Mar Rosso e si divide in due diramazioni
che prendono il nome di triangolo di Afar. E' la depressione
corrispondente alla regione del Corno d'Africa, che comprende
Eritrea, Etiopia e Djibouti. Qui si trova il punto più basso dell'Africa,
il Lac Assal, il grande lago salato posto a 150 metri sotto
il livello del mare. I ritrovamenti di reperti fossili dei primi ominidi,
testimoniano i luoghi dell'origine della specie. Ne è un esempio lo
scheletro di Lucy, della famiglia Australopithecus afarensis, i cui
discendenti del gruppo etnico degli Afar, provenienti dall'Etiopia orientale,
si sono stabiliti a Djibouti e ne hanno condizionato la storia e le sorti.
I tumulti e le sommosse contro la dominazione del colonialismo francese si
intrecciano con i conflitti tra le tribù degli Afar e
quella degli Issa, di provenienza somala. Dopo la proclamazione
d'indipendenza nel 1977, le ostilità fra le diverse etnie culminarono
in guerra civile all'inizio degli anni '90. Nonostante gli accordi firmati
nel 2000, le istanze secessioniste degli Afar nel Nord del paese non si sono
placate e la minaccia del riaccendersi dei conflitti é sempre latente.
Ma non riguarda i turisti, i pochi e rari turisti che sbarcano, chissà
come e chissà perché, in questo piccolo paese africano, sconosciuto
ai più. Al massimo rischiano di essere oggetto di una fitta gragnola
di oggetti, lanciati dalle donne del Marché Central di Djibouti,
se insistono troppo per scattare foto, evidentemente niente affatto gradite!
Al grido di "Attention!", le venditrici di frutta e ortaggi
alzano il braccio con aria minacciosa, e non hanno affatto l'aria di scherzare.
Ma se le si incontra da sole, al riparo dal consesso sociale di riprovazione
maschile, sorridono timide, ridono contente e si prestano a qualche scatto
rubato, mai senza previa educata richiesta. Anima africana in un contesto
islamizzato, che prescrive l'adozione di comportamenti aderenti all'approvazione
pubblica. E senza alcun ritegno, gli uomini si permettono di apostrofarle
pubblicamente, anche se si tratta di straniere in visita. E così accade
che un tassista zittisca senza mezzi termini una turista femmina, per essersi
permessa di esprimere un suo parere durante un consueto scambio di banali
informazioni durante il tragitto. Le donne non devono parlare, é il
concetto.
Eppure, le donne di Djibouti, avvolte nei loro shalma dai colori
brillanti, dure come le rocce laviche della loro terra, hanno la forza primordiale
della lotta per la sopravvivenza. Sopravvivenza fatta di associazioni contro
le mutilazioni sul corpo femminile, fatta di lotta contro la povertà
che le fa vivere in spoglie capanne di lamiere e misere tende rammendate.
Hanno la stessa forza delle condizioni estreme di un ambiente ostile, arido
e polveroso, dove gli uomini si ostinano a praticare l'antico mestiere della
pastorizia. Anche loro, gli uomini di Djibouti, vestiti di futa, (simili
ai sarong orientali), rudi e coriacei, dimorano nei loro stanziamenti
precari, nei luoghi arsi dal sole. Nomadi nell'animo, si accompagnano alle
poche capre al pascolo, tirano i cammelli inerpicandosi per luoghi brulli
a commerciare il sale. Vendono ai turisti i gioielli di questa terra. I magici
geodi, infiltrazioni di minerali in soluzione, che cristallizzano nelle rocce
cave e le rivestono internamente. E le splendenti druse, tappeti di cristalli
su matrice rocciosa. Sono pescatori, senza paura affrontano le forti correnti
del Golfo del Ghoubbet con le loro piccole imbarcazioni,
sfidando i venti furiosi della Pass alla ricerca di barracuda e pesce d'alto
mare, che saranno la loro risorsa di sostentamento.
Djibouti, sede della Legione straniera. I ricchi francesi e americani sostano
con le loro navi da guerra nel Port de Pèche. Girano
per la capitale in calzoncini corti ed elargiscono soldi ed elemosine per
togliersi il disturbo di qualche fastidioso mendicante. Lo sbocco al mare,
di importanza strategica per l'Etiopia, é dovuto scendere a compromessi
con le forze di occupazione militare straniera, che non ha portato grandi
benefici alla popolazione, tra le più povere del mondo. Che si trastulla,
comunque, con il vizio nazionale! Ogni giorno, un cargo dell'Ethiopian Airlines
atterra puntualmente sulla pista dell'aeroporto Ambouli International con
il suo carico di qat* che, tempo un'ora, sarà esposto
freschissimo sulle bancarelle del mercato e vendute nell'euforia generale.
Il vento di rivolta che soffia sulle giovani generazioni del Maghreb, ha investito
anche il piccolo stato di Djibouti. Definita "la guerra del pane",
é sollevazione contro le condizioni di povertà e disuguaglianza
imposte da regimi dittatoriali foraggiati dalle grandi potenze occidentali,
interessate esclusivamente allo sfruttamento delle risorse energetiche, di
cui molti paesi del Nord Africa sono fornitori. L''Europa non ha preso una
posizione comune contro i regimi contestati e gli Stati Uniti minacciano l'intervento
militare.** E' la logica della guerra, motore di un'economia che crea grandi
profitti e profonde iniquità sociali. Adducendo a pretesto la falsa
motivazione della difesa dei civili a casa loro, ragioni di strategia geopolitica
mirano ufficialmente a scongiurare le migrazioni di massa, da cui però
derivano condizioni di sfruttamento e disumanità che dettano le regole
della nuova schiavitù del mercato globale. La rivoluzione del pane
é un contagio che si allarga a macchia di leopardo nelle nazioni povere
del mondo, ed ha raggiunto anche Djibouti e lo Yemen, due paesi che si dividono
lo stretto di Bab el Mandeb. Difficile prevederne gli sviluppi. Ma é
un segnale di profondo disagio sociale che persino un viaggiatore occasionale
riesce a percepire quando attraversa le strade desertiche e polverose di Djibouti
e s'imbatte nei villaggi dove regna la miseria più nera.
Tutto questo é incastonato in un contesto paesaggistico unico ed affascinante. L'Île
du Diable, formatasi dalle colate di un'eruzione vulcanica, porta
nel suo nome tutto il potere evocativo della forza dirompente della natura.
I ruscelli di acqua termale sprigionano vapori bollenti che ustionano i piedi
dei viandanti. Ma non quelli delle procavie del Capo, che sembrano invece
divertirsi a rincorrersi tra le rocce, incuranti dell'asfissiante clima del
deserto. La luminescente crosta salata del Lac Assal, incastonata tra imponenti
spaccature frastagliate di pietra lavica, crea formazioni saline bianche come
iceberg alla deriva in mezzo all'azzurro acquamarina del lago. Teschi di capra
sono posizionati a ridosso dello sciabordio delle onde affinché si
ricoprano di cristalli di sale in un processo di imbalsamazione. Macabri souvenir,
oggetti tradizionali dell'antica cultura Afar, una cultura nomade e fiera,
fondata sul valore sociale della cooperazione.
Bab el Mandeb, la porta delle lacrime. Sarà, ma la totale distanza
da uno sviluppo indiscriminato e commerciale, fa di questo piccolo paese del
Corno d'Africa un esempio raro di ecoturismo, un'anomala mescolanza di popolazioni
che sopravvivono nelle loro intatte consuetudini tramandate. Un melting pot
di Africa e Arabia, Occidente e Oriente, affacciati sullo stretto che separa
due mari, ma che unisce due mondi che si fondono.
*pianta
dalle piccole foglie verdi, masticate regolarmente dalla popolazione locale,
con effetto euforizzante. Una droga leggera largamente diffusa nell'aerea
del Corno d'Africa e nello Yemen.
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L'intervento militare in Libia scatta il 19 marzo 2011 inaugurato dalla Francia.
Illuminante, a questo proposito, é l'analisi puntuale di Fidel Castro
nella sua ultima "Riflessione sul mondo" pubblicata il 15 marzo
2011: "Possiamo notare la complessa situazione che regna nel mondo arabo,
fra le cui popolazioni si è scatenata un’ondata rivoluzionaria.
Il Re saudita appoggia la guerra della Nato in Libia e nel Bahrein la Nato
appoggia l’invasione saudita. Il sangue dei popoli arabi verrà
versato a beneficio delle grandi multinazionali degli Stati Uniti, intanto
i prezzi del petrolio raggiungeranno limiti non prevedibili nella misura in
cui le guerre si scateneranno nelle aree di maggior produzione, mentre i disastri
nucleari del Giappone moltiplicano la resistenza dei popoli alla proliferazione
degli impianti nucleari. Lo spreco e le società di consumo capitalista
nella sua fase neoliberale e imperialista, stanno trascinando il mondo in
un vicolo cieco dove il cambio climatico e il costo crescente degli alimenti
conducono migliaia e migliaia di persone verso i peggiori indicatori di povertà.