La chiamano Tiger’s Zoo. Ma non è uno zoo.
Al contrario.
Fuvahmulah è una savana, dove predatori invincibili si muovono liberi nel loro moto perpetuo di migrazione. Fuvahmulah è una prateria, dove animali selvatici corrono liberamente. Fuvahmulah è una selva, dove nel profondo sottobosco si nascondono creature uniche e schive, creature che difendono gelosamente la loro libertà.
Fuvahmulah è un oceano. E’ oceano aperto, sotto l’equatore terrestre. Nelle sue acque nuotano indisturbati i grandi squali tigre, secondi solo agli squali leuca nella classifica dei carcarinidi più pericolosi al mondo.
Li vedi in superficie, quando gli scarti del mercato del pesce vengono gettati in acqua. Li riconosci a trenta metri di profondità, nella trasparenza assoluta di quel mare azzurro fosforescente. Li identifichi sul fondo a cinquanta metri, scattanti e liberi.
Sì, liberi. Perché qui a Fuvahmulah gli squali non sono trattati come cagnolini ammaestrati, non sono imboccati come bambini incapaci. Qui gli squali non vengono immobilizzati, ipnotizzati, anestetizzati dall’esperto di turno, che li riduce a larve inerti come dopo un trattamento sanitario obbligatorio.
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Gli squali tigre di Fuvahmulah si muovono autonomamente. Circospetti, seguono l’istinto. Annusano il terreno, si avvicinano lentamente, ti guardano negli occhi, ti studiano, ti riconoscono, ti selezionano.
Poi azzannano le prede, le strattonano scuotendo la testa di forza, come veri predatori che non si fanno addomesticare passivamente. Perché sono nomadi, migratori. Le costrizioni abitudinarie e artificiali, impostegli in altri luoghi a beneficio di turisti affamati di sensazionalismo, li snaturano, ne alterano inevitabilmente il comportamento con conseguenze imprevedibili.
E poi, vuoi mettere la soddisfazione di incontrare questi magnifici esemplari di Galeocerdo Cuvier fortuitamente piuttosto che vederli alla stregua di animali addestrati da circo? C’è tutta la differenza che passa tra la certezza scientifica di assistere a uno spettacolo scontato e l’incertezza empirica della ricerca fatta di speranza e trepidazione, di gioia e delusione, di cuore e sensi allertati, di istinto innescato in una sorta di affiliazione primordiale.
E’ così che qui a Fuvahmulah, l’ultima isola delle Maldive sotto l’equatore, loro si palesano. Quando vogliono, come vogliono, dove vogliono.
Belli, eleganti, maestosi. Le strisce di tigre attraversano anche la pinna dorsale e quella caudale. Le mettono in mostra, sicuri di sé, scanzonati, allegri. Si avvicinano per conoscerti, ti guardano dritto negli occhi. Non ti temono, non li temi. E’ un incontro intimo, naturale. Non c'è paura, non c'è soggezione. C'è curiosità, c'è scambio, c'è reciprocità. C'è incontro alla pari, senza esercizio di potere, senza necessità di travalicare, senza sudditanza fisica o psicologica.
Fuvahmulah riserva emozioni e commozioni imprevedibili che ti lasciano attonito e ti toccano il cuore, come quando vivi l’immersione della vita perché, dopo aver avvistato uno splendido esemplare di squalo tigre che nuota iridescente nel blu, ti giri di scatto e ti trovi di fronte un bizzarro e meraviglioso squalo volpe che ti guarda con l’occhione nero spalancato oscillando la sua splendida coda a vessillo. E infine, quando pensi che già basta e ti rilassi tra splendidi coralli facendoti trasportare da una dolce corrente, dall’immenso del nulla, volando leggiadra a mezz’acqua, arriva lei, la manta oceanica, quella che neanche la guida subacquea di più lunga esperienza, quella autoctona, quella maldiviana aveva mai visto. Ti sorride con quella bocca truccata di nero e il ventre bianco traslucido. Te lo mette in faccia, roteando su se stessa come una gigantesca farfalla albina.
E così lei viene iscritta tra le nuove specie identificate qui e le si dà un nome, anagramma dei nomi propri dei fortunati subacquei che l’hanno vista per primi. Che onore! Ma non è tutto.
Dopo l’immersione del coraggio, quella con gli squali tigre, dopo l’immersione dell’emozione, quella con la manta oceanica, c'è l’immersione dell’incoscienza.
Via, la prima del mattino, ci si tuffa nel blu, niente intorno in questo abisso oceanico chiamato Plateau. E lì appare di tutto: squali dalla punta argentea, banchi di squali grigi e in mezzo a loro, lento e regale come un imperatore, lo schivo, raro, unico squalo martello maggiore. Lo Sphyrna Mokarran, quello che, o lo vedi perché viene imboccato come un neonato inebetito, o non lo vedi. E invece sì, qui lo vedi, qui vedi quell’enorme testa bitorzoluta che vira a destra e a manca come un timone, qui vedi quella inconfondibile pinna dorsale lunga e falcata.
Sì, qui ti capita. Qui a Fuvahmulah ti capita di tutto, come intercettare il nuoto scattante e concitato di un pesce vela durante la pausa di decompressione e vederne il guizzo argentato per il breve e prezioso lasso di tempo di un secondo.
Fuvahmulah è un luogo speciale del mondo. E’ un posto unico. Perché non è commerciale. Perché è tradizionale. Tradizione vera, incontaminata, intatta nei suoi usi e costumi locali.
Nella spettacolare Thoondu, la spiaggia della punta nord dell’isola, si gioca con le onde che s’infrangono sulla battigia. Non c’è barriera corallina a proteggere i bagnanti, qui è subito oceano, oceano aperto. Forza della natura, indomita, non addomesticata. Ci si siede compostamente, spalle e ginocchia coperte, a osservare i giochi dei bambini. Il sole scende tra le nuvole, implode colorando di tutte le sfumature di viola un cielo infuocato che incendia le cime delle Areca palms, palme di betel. Anche i due laghi di acqua dolce riflettono le ombre rosse della sera. Acqua dolce alle Maldive, e non sembrano neanche Maldive. Si sorseggia una birra analcolica, comprata al minimarket per poche rufiya. Si sta in silenzio, in contemplazione, sognando ancora l’incontro con gli squali tigre, i re di Fuvahmulah, i signori assoluti di questo unico, oceanico, selvatico Tiger’s Zoo.
Paola Ottaviano