Il
pullman raggiunge il quartiere di Balad,
cuore della città vecchia. Accosta e si
ferma.
Jeddah, affacciata sul Mar Rosso,
divenne presto il porto d'ingresso per i mussulmani
diretti alla Mecca. Seconda città dell'Arabia
Saudita, dopo la capitale, e crocevia di pellegrinaggio
nei luoghi sacri dell'Islam, Jeddah é considerata
"liberale" rispetto alla "tradizionale
e conservatrice" Riyadh.
Le porte del pullman si aprono e un uomo sale
con due voluminosi sacchi pieni di vestiti. Le
turiste provano gli abiti e scelgono quello della
misura più adatta. Poi é la volta
del foulard, leggero, colorato, fuxia, azzurro,
viola. C'é eccitazione, risate divertite.
Sembra un gioco, un pò mascarade,
un pò sexy....che profanazione! Tutte in
posa, si lasciano fotografare per ricordo.
Siamo in Arabia Saudita, quella de "Le mille
e una notte", cultura antica, misteriosa
e ricca di fascino. The Kingdom. La monarchia
Saudita si basa su valori conservatori e rigide
regole imposte dal Wahabismo di Stato, che impone la stretta osservanza di prescrizioni
sociali e giuridiche ai cittadini del Regno e
ai visitatori stranieri. L'obbligo di indossare
in pubblico l'abaja (abito lungo, nero
e ampio che non aderisca alle forme) é
esteso a tutte le donne anche non mussulmane che
entrino in città. L'hejab (il
velo che copre la testa) può essere più
o meno integrale, in base al grado di adesione
conservativa alla religione islamica di chi lo
indossa. Solo recentemente il velo non é
più imposto alle donne occidentali. E'
comunque opportuno girare con la testa coperta
nel rispetto di un'usanza che per le Saudite ha
un significato che va al di là della legge.
In pubblico é il segno distintivo per "proteggere
il pudore", per garantire il "senso
dell'anonimato", per suggellare il riconoscimento
sociale. Il vestito saudita é un simbolo
culturale e le diverse maniere di indossarlo dipendono
dalle circostanze. Gli uomini portano una lunga
veste bianca (thop) e
coprono la testa con la ghutra (kefia
rossa e nera) fermata da un cerchio di corda nera
(eagal). Il Re ha i due lembi della ghutra che scendono liberi e rimangono sempre aperti.
Un tassista li avvolge sul capo e c'é chi
la usa a mò di sciarpa, secondo la posizione
ricoperta nella società saudita, che è
molto formale.
Il Suq di Jeddah, lo spettacolare
Al-Alawi, é uno dei più
affascinanti mercati dell'Arabia. E' una fila
ininterrotta di tende, oreficerie, negozi pieni
di spezie e oggetti risplendenti, che attraversano
serpeggianti il cuore del vecchio centro storico.
Uomini che offrono misteriosi quadratini di carta
bianca da annusare per vendere i loro profumi
dalle esotiche essenze; abiti preziosi che pendono
dall'alto, lavorati finemente con gemme dai colori
pastello; frutti secchi del deserto, datteri e
anacardi venduti a peso. E il minareto verde,
brillante, luminoso, si erge maestoso a dominare
le stradine, le scale che si inerpicano sinuose.
Fascino, che é vietato immortalare, per
il divieto di fotografare luoghi pubblici, luoghi
sacri. Atmosfera irrespirabile, caldo afoso. Un
bicchiere di succo di canna da zucchero* offre
un momentaneo refrigerio all'arsura di una sete
implacabile.
L'assenza quasi totale di stranieri ricorda che
l'Arabia Saudita si sta affacciando sul mercato
turistico internazionale per la prima volta. Si
é iniziata al turismo per le attività
subacquee in Mar Rosso e per l'archeologia dopo
l'11 settembre 2001, per dimostrare un'apertura
al mondo occidentale.
Per acquistare qualche souvenir del magico
suq di Jeddah, bisogna cambiare i soldi.
L'unica valuta spendibile é il Riyal,
moneta nazionale. E lì c'é il primo
impatto con una realtà lontana anni luce
dalla nostra. Nelle banche la fila per le donne
é separata da quella degli uomini. Se una
turista occidentale, non avvezza a questi usi,
sbaglia ingresso nei ristoranti e si ritrova inavvertitamente
nella single room (riservata ai maschi),
viene apostrofata con veemenza da uomini visibilmente
alterati e agitati che la indirizzano con maniere
spicce verso la family room, dove le
famiglie e le donne sole si accomodano in piccoli
spazi protetti da un paravento, a tutelarne la
riservatezza. Quando il muezzin chiama
alla preghiera e le note dell'awqat**
risuonano nei vicoli affollati, un'improvvisa
frenesia si impadronisce dei commercianti che
cacciano via dai loro negozi i potenziali acquirenti
senza tanti complimenti, chiudono frettolosamente
le tende e si precipitano alla moschea. Nello
stesso istante le donne, ovunque si trovino, si
fermano, si accovacciano per terra o si siedono
sulle panchine e aspettano.
Cultura e precetti islamici si fondono in obblighi
ineludibili, sulla cui osservanza vigilano, in
modo talora repressivo, i mutawwin, "Commissari
per la Propagazione delle Virtù e la Prevenzione
del Vizio" o "Commissari per la Pubblica
Morale", una sorta di guardiani di servizio
civile della burocrazia statale. Girano tra la
gente, riconoscibili per i pantaloni più
corti, e sono responsabili dell'applicazione della
legge della Sharia. Verificano che in
pubblico l'abbigliamento sia consono alla modestia,
che le donne non fumino per strada, che non vengano
scattate fotografie.
Atmosfera pesante, di sospetto. Sguardi inquisitori,
censori. Donne sedute per terra con un bastone
di fianco fanno l'elemosina. Forse sono vedove
e non hanno alcun "tutore", nessun uomo
che se ne occupi.
Ma se si ha la fortuna di condividere brevi momenti
nel privato, come in una sala da bagno per signore
o nella stanza separata per le donne all'aeroporto
internazionale, all'improvviso tutto cambia: le
donne arabe salutano sorridenti "Salam
Alekum", ridono, scherzano, riflettono
negli specchi le loro vaporose acconciature, i
loro occhi truccati, penetranti, pieni di luce.
E si lasciano fotografare, irriverenti, col senso
compiaciuto della trasgressione. E se per strada
si chiede alle ragazze il permesso di immortalarle,
quelle più audaci, dopo essersi guardate
intorno, sornione, con aria circospetta, si "svelano"
mostrando tutta la loro luminosa bellezza.
Una nota di civetteria femminile, un irresistibile
impulso di vanità, un attimo rubato all'imposizione.
Momenti di evasione, che valgono molto di più
di tante parole, come prova della capacità
delle donne a non essere mai completamente soverchiate
e dominate da chicchessia.
*
bevanda ottenuta dalla spremitura a mano di lunghe
canne da zucchero. I negozietti artigianali sono
indicati da scritte arabe e traslitterate "Sugarcane
juice - 1 glass 4 Riyal" (70 centesimi di
euro)
**momento
di elezione delle cinque preghiere obbligatorie