Papua,
la metà occidentale dell'isola di Nuova
Guinea, é stata così recentemente
rinominata dal governo indonesiano in "ossequio"
alla sensibilità delle popolazioni locali. Nella
continua trasformazione semantica del territorio, fino
a pochi anni fa noto come Irian Jaya,
si rintraccia la travagliata storia di una terra colonizzata
a diverse riprese. I portoghesi, nel 1500, chiamarono
l'isola "Ilhas dos Papuas" (Isola dei
capelli crespi), dalla parola malese papuawh.
Gli olandesi, al loro arrivo, la nominarono Nuova
Guinea perché i nativi che vi abitavano, dalla
pelle scura, ricordavano gli africani della Guinea. Irian
deriva dalla lingua Biak e significa "terra
calda che sorge dal mare". Quando la sovranità
fu trasferita all'Indonesia, questo lembo di terra, tre
volte più esteso di Java e Bali messi insieme,
fu chiamato Irian Barat (Irian Occidentale)
ed infine Irian Jaya (in lingua bahasa Jaya significa vittorioso). I nativi Papuani, che ancora
sopravvivono nelle zone interne di Papua e della confinante
Papua Nuova Guinea, organizzatisi nell'OPM (Movimento
Separatista Papua Libera), hanno lottato per anni per
l'indipendenza della provincia, annessa dall'Indonesia
prevalentemente per ragioni di sfruttamento economico
(legname e risorse minerarie). Di recente il governo di
Jakarta ha fatto alcune concessioni (oltre al cambio del
nome, ha incontrato i leader indipendentisti) e la situazione
é apparentemente calma. Ma nel corso degli anni
l'esercito indonesiano si é reso colpevole di gravi
abusi contro la popolazione di Papua, con una dura repressione
militare che ha provocato più di centomila morti.
Le risorse naturali del territorio vengono sfruttate dal
governo indonesiano e da compagnie straniere, che ne traggono
grandi profitti a discapito dei popoli tribali e delle
loro terre. E' il caso della miniera di oro e rame di
Timika, in concessione alla multinazionale americana Freeport,
che non prevede alcun indennizzo né redistribuzione
della ricchezza ai nativi, sebbene in anni recenti le
rivolte e i sabotaggi abbiano costretto la Freeport ad
impegnarsi in progetti di walfare per la popolazione locale.
Alla deforestazione, ai danni ambientali e alla violazione
dei diritti umani, si aggiunga il nuovo programma di transmigrasi
che il governo indonesiano ha avviato con l'intento ufficiale
di ripopolare la provincia e allentare
la tensione demografica di altre isole dell'arcipelago
(Java, Sulawesi), ma con la vera finalità di rendere
sempre più "indonesiana" la Papua e annullare
un'identità tribale caratteristica degli indigeni
originari della regione. Ne consegue che le popolazioni
di etnia Papua sono sempre più emarginate, costrette
a ritirarsi sulle montagne e nelle foreste pluviali (per
far visita ai loro familiari i nativi devono richiedere
alle autorità il surat jalan,
un permesso speciale) ed il loro autentico modo di vita
tradizionale sta progressivamente scomparendo.
La Papua è caratterizzata da una straordinaria
diversità linguistica e culturale; vi abitano circa
300 differenti tribù e si suppone che altre ve
ne siano non ancora scoperte; molte di loro parlano lingue
diverse, incluse alcune forme di linguaggio dei segni.
Nella Valle del Baliem vive la tribù
dei Dani, i più famosi aborigeni
degli altipiani. Il capovillaggio accoglie i visitatori
mostrando la mummia centenaria di un antenato e le donne
anziane portano indelebilmente il segno delle dita mozzate,
un antico sacrificio per le anime dei parenti morti. Gli
Yali sono una delle tribù pigmee
della Papua. Vivono sui monti e raramente superano l'altezza
corporea di 1,50 centimetri. I Kombai,
tribù degli alberi, abitano la regione del fiume
Brazza. Le loro case sono costruite sulla cima degli alberi
a 30 metri da terra. Gli uomini indossano il koteka
o horim, l'astuccio penico, fatto col becco del bucero
adulto di cinque anni e nella tribù degli Asmat
era costume usare teschi umani come cuscini!
Il turismo a Papua si concentra essenzialmente nella Valle
del Baliem nel mese di agosto quando si svolge
il Baliem Festival (per le date e le
attività si può contattare l'ufficio
del turismo di Wamena). Con l'incoraggiamento
dei missionari protestanti, che organizzano anche voli
per raggiungere le regioni più remote, ogni anno
uomini provenienti dai villaggi simulano le "lotte
tribali" indossando gli ornamenti tradizionali, al
suono della musica Dani e con il corredo di danze e arti
primitive.
La visita ai nativi Papua da parte di viaggiatori stranieri
ha avuto il suo impatto a volte negativo, sia dal punto
di vista ambientale che culturale, ma é anche una
garanzia per le popolazioni locali, se non altro per il
giro d'affari che ne scaturisce. Il governo indonesiano
ha tutto l'interesse a "preservare", almeno
un minimo, le tradizioni e la sopravvivenza stessa degli
indigeni, considerato che foraggiano l'economia del turismo,
nonostante le vicende degli ultimi anni abbiano ridotto
notevolmente il numero di coloro che scelgono l'Indonesia
per i loro viaggi.
Affinché anche i Papuani possano trarre beneficio
dal turismo straniero, é importante alloggiare
nelle loro case, servirsi delle guide del posto ed elargire
denaro con criterio per non creare inflazione, adeguandosi
allo standard di vita locale. E soprattutto raccontare
dei Papuani, della loro straordinaria esistenza, affinché
non vengano dimenticati, affinchè la loro cultura
autoctona (qualcuno direbbe "il loro stile di vita
da Età della Pietra"), sopravviva alla prevaricazione
economica.
Una sorta di tradizione orale, per preservare una delle
ultime culture primordiali della terra.
Paola
Ottaviano