Materiali da Gibuti


::Gennaio 2011::

Djibouti (Gibuti) La porta delle lacrime
Di Paola Ottaviano

Bab el Mandeb, la porta delle lacrime. Così, in lingua araba, si indica lo stretto attraverso cui il Mar Rosso e l'Oceano Indiano confondono le loro acque nel Golfo di Aden, pericolosa rotta di pirati. La leggenda racconta delle lacrime versate per la separazione del continente africano da quello asiatico. La costa di Djibouti, in terra d'Africa, dista da quella dello Yemen, nella penisola Arabica, solo trenta chilometri, di navigazione spesso difficile. E' il prolungamento della Rift Valley, la formazione geologica che si é creata dalla spaccatura delle placche tettoniche, iniziata con la deriva dei continenti milioni di anni fa e tuttora in atto. Qui la faglia della crosta terrestre percorre tutto il fondale del Mar Rosso e si divide in due diramazioni che prendono il nome di triangolo di Afar. E' la depressione corrispondente alla regione del Corno d'Africa, che comprende Eritrea, Etiopia e Djibouti. Qui si trova il punto più basso dell'Africa, il Lac Assal, il grande lago salato posto a 150 metri sotto il livello del mare. I ritrovamenti di reperti fossili dei primi ominidi, testimoniano i luoghi dell'origine della specie. Ne è un esempio lo scheletro di Lucy, della famiglia Australopithecus afarensis, i cui discendenti del gruppo etnico degli Afar, provenienti dall'Etiopia orientale, si sono stabiliti a Djibouti e ne hanno condizionato la storia e le sorti. I tumulti e le sommosse contro la dominazione del colonialismo francese si intrecciano con i conflitti tra le tribù degli Afar e quella degli Issa, di provenienza somala. Dopo la proclamazione d'indipendenza nel 1977, le ostilità fra le diverse etnie culminarono in guerra civile all'inizio degli anni '90. Nonostante gli accordi firmati nel 2000, le istanze secessioniste degli Afar nel Nord del paese non si sono placate e la minaccia del riaccendersi dei conflitti é sempre latente.
Ma non riguarda i turisti, i pochi e rari turisti che sbarcano, chissà come e chissà perché, in questo piccolo paese africano, sconosciuto ai più. Al massimo rischiano di essere oggetto di una fitta gragnola di oggetti, lanciati dalle donne del Marché Central di Djibouti, se insistono troppo per scattare foto, evidentemente niente affatto gradite! Al grido di "Attention!", le venditrici di frutta e ortaggi alzano il braccio con aria minacciosa, e non hanno affatto l'aria di scherzare. Ma se le si incontra da sole, al riparo dal consesso sociale di riprovazione maschile, sorridono timide, ridono contente e si prestano a qualche scatto rubato, mai senza previa educata richiesta. Anima africana in un contesto islamizzato, che prescrive l'adozione di comportamenti aderenti all'approvazione pubblica. E senza alcun ritegno, gli uomini si permettono di apostrofarle pubblicamente, anche se si tratta di straniere in visita. E così accade che un tassista zittisca senza mezzi termini una turista femmina, per essersi permessa di esprimere un suo parere durante un consueto scambio di banali informazioni durante il tragitto. Le donne non devono parlare, é il concetto.
Eppure, le donne di Djibouti, avvolte nei loro shalma dai colori brillanti, dure come le rocce laviche della loro terra, hanno la forza primordiale della lotta per la sopravvivenza. Sopravvivenza fatta di associazioni contro le mutilazioni sul corpo femminile, fatta di lotta contro la povertà che le fa vivere in spoglie capanne di lamiere e misere tende rammendate. Hanno la stessa forza delle condizioni estreme di un ambiente ostile, arido e polveroso, dove gli uomini si ostinano a praticare l'antico mestiere della pastorizia. Anche loro, gli uomini di Djibouti, vestiti di futa, (simili ai sarong orientali), rudi e coriacei, dimorano nei loro stanziamenti precari, nei luoghi arsi dal sole. Nomadi nell'animo, si accompagnano alle poche capre al pascolo, tirano i cammelli inerpicandosi per luoghi brulli a commerciare il sale. Vendono ai turisti i gioielli di questa terra. I magici geodi, infiltrazioni di minerali in soluzione, che cristallizzano nelle rocce cave e le rivestono internamente. E le splendenti druse, tappeti di cristalli su matrice rocciosa. Sono pescatori, senza paura affrontano le forti correnti del Golfo del Ghoubbet con le loro piccole imbarcazioni, sfidando i venti furiosi della Pass alla ricerca di barracuda e pesce d'alto mare, che saranno la loro risorsa di sostentamento.
Djibouti, sede della Legione straniera. I ricchi francesi e americani sostano con le loro navi da guerra nel Port de Pèche. Girano per la capitale in calzoncini corti ed elargiscono soldi ed elemosine per togliersi il disturbo di qualche fastidioso mendicante. Lo sbocco al mare, di importanza strategica per l'Etiopia, é dovuto scendere a compromessi con le forze di occupazione militare straniera, che non ha portato grandi benefici alla popolazione, tra le più povere del mondo. Che si trastulla, comunque, con il vizio nazionale! Ogni giorno, un cargo dell'Ethiopian Airlines atterra puntualmente sulla pista dell'aeroporto Ambouli International con il suo carico di qat* che, tempo un'ora, sarà esposto freschissimo sulle bancarelle del mercato e vendute nell'euforia generale.
Il vento di rivolta che soffia sulle giovani generazioni del Maghreb, ha investito anche il piccolo stato di Djibouti. Definita "la guerra del pane", é sollevazione contro le condizioni di povertà e disuguaglianza imposte da regimi dittatoriali foraggiati dalle grandi potenze occidentali, interessate esclusivamente allo sfruttamento delle risorse energetiche, di cui molti paesi del Nord Africa sono fornitori. L''Europa non ha preso una posizione comune contro i regimi contestati e gli Stati Uniti minacciano l'intervento militare.** E' la logica della guerra, motore di un'economia che crea grandi profitti e profonde iniquità sociali. Adducendo a pretesto la falsa motivazione della difesa dei civili a casa loro, ragioni di strategia geopolitica mirano ufficialmente a scongiurare le migrazioni di massa, da cui però derivano condizioni di sfruttamento e disumanità che dettano le regole della nuova schiavitù del mercato globale. La rivoluzione del pane é un contagio che si allarga a macchia di leopardo nelle nazioni povere del mondo, ed ha raggiunto anche Djibouti e lo Yemen, due paesi che si dividono lo stretto di Bab el Mandeb. Difficile prevederne gli sviluppi. Ma é un segnale di profondo disagio sociale che persino un viaggiatore occasionale riesce a percepire quando attraversa le strade desertiche e polverose di Djibouti e s'imbatte nei villaggi dove regna la miseria più nera.
Tutto questo é incastonato in un contesto paesaggistico unico ed affascinante. L'Île du Diable, formatasi dalle colate di un'eruzione vulcanica, porta nel suo nome tutto il potere evocativo della forza dirompente della natura.
I ruscelli di acqua termale sprigionano vapori bollenti che ustionano i piedi dei viandanti. Ma non quelli delle procavie del Capo, che sembrano invece divertirsi a rincorrersi tra le rocce, incuranti dell'asfissiante clima del deserto. La luminescente crosta salata del Lac Assal, incastonata tra imponenti spaccature frastagliate di pietra lavica, crea formazioni saline bianche come iceberg alla deriva in mezzo all'azzurro acquamarina del lago. Teschi di capra sono posizionati a ridosso dello sciabordio delle onde affinché si ricoprano di cristalli di sale in un processo di imbalsamazione. Macabri souvenir, oggetti tradizionali dell'antica cultura Afar, una cultura nomade e fiera, fondata sul valore sociale della cooperazione.
Bab el Mandeb, la porta delle lacrime. Sarà, ma la totale distanza da uno sviluppo indiscriminato e commerciale, fa di questo piccolo paese del Corno d'Africa un esempio raro di ecoturismo, un'anomala mescolanza di popolazioni che sopravvivono nelle loro intatte consuetudini tramandate. Un melting pot di Africa e Arabia, Occidente e Oriente, affacciati sullo stretto che separa due mari, ma che unisce due mondi che si fondono.

*pianta dalle piccole foglie verdi, masticate regolarmente dalla popolazione locale, con effetto euforizzante. Una droga leggera largamente diffusa nell'aerea del Corno d'Africa e nello Yemen.

** L'intervento militare in Libia scatta il 19 marzo 2011 inaugurato dalla Francia. Illuminante, a questo proposito, é l'analisi puntuale di Fidel Castro nella sua ultima "Riflessione sul mondo" pubblicata il 15 marzo 2011: "Possiamo notare la complessa situazione che regna nel mondo arabo, fra le cui popolazioni si è scatenata un’ondata rivoluzionaria. Il Re saudita appoggia la guerra della Nato in Libia e nel Bahrein la Nato appoggia l’invasione saudita. Il sangue dei popoli arabi verrà versato a beneficio delle grandi multinazionali degli Stati Uniti, intanto i prezzi del petrolio raggiungeranno limiti non prevedibili nella misura in cui le guerre si scateneranno nelle aree di maggior produzione, mentre i disastri nucleari del Giappone moltiplicano la resistenza dei popoli alla proliferazione degli impianti nucleari. Lo spreco e le società di consumo capitalista nella sua fase neoliberale e imperialista, stanno trascinando il mondo in un vicolo cieco dove il cambio climatico e il costo crescente degli alimenti conducono migliaia e migliaia di persone verso i peggiori indicatori di povertà.

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